Capitolo: Nino Benvenuti – Il Campione
Sulle rive dell'Adriatico che bagna Isola d'Istria, là dove l’acqua porta con sé memorie di confine e il vento sa di salsedine e storia, nacque il 26 aprile 1938 un bambino destinato a diventare leggenda. Giovanni “Nino” Benvenuti sarebbe cresciuto portando nel cuore due amori: quello per la boxe e quello, struggente, per la sua terra, l’Istria, che presto dovette abbandonare. In lui, l’acqua ha sempre significato passaggio, separazione, ma anche rinascita. Ed è su queste vie invisibili che si costruisce la parabola di un uomo che ha saputo essere, insieme, atleta, testimone e simbolo.
Dall’Istria all’Italia: l’esilio e il coraggio
L’infanzia di Benvenuti si svolge tra le ombre della guerra e l’incertezza del dopoguerra. La sua famiglia, come migliaia di italiani giuliano-dalmati, fu costretta a lasciare l’Istria nel dramma dell’esodo seguito alla firma del trattato di pace del 1947. Nino aveva solo nove anni, ma l’impronta di quell’abbandono fu indelebile. La sua fu una giovinezza segnata dalla perdita e dalla ricostruzione, in un’Italia ancora ferita, che cercava di rialzarsi.
Nel suo racconto, la memoria dell’esilio non è mai stata soltanto dolore, ma anche impulso a farcela. In palestra, dove cominciò a tirare i primi pugni, Benvenuti trovò la disciplina e l’orgoglio. Trovò un ring su cui non fuggire, ma affrontare il destino. E fu lì che iniziò a scrivere, col sudore e la grazia, la sua straordinaria epopea sportiva.
Roma 1960: l’Olimpo conquistato
L’Italia che accoglie i Giochi Olimpici del 1960 è un Paese in fermento, in pieno boom economico. Roma è la vetrina del riscatto nazionale e Nino Benvenuti, allora ventiduenne, sale sul ring con il peso leggero del suo corpo e la forza profonda di un popolo alle spalle. Ogni colpo che porta è frutto di sacrificio, ogni schivata un gesto d’arte. È un pugile elegante, tecnico, rapido, capace di unire intelligenza e cuore.
Conquista la medaglia d’oro nella categoria pesi welter. Nella finale contro il sovietico Yuri Radonyak domina con autorità e stile. L’Italia intera lo applaude: è un trionfo che va oltre lo sport. È la consacrazione di un figlio d’esuli che diventa eroe nazionale.
L’America, la gloria mondiale e le sfide leggendarie
Dopo il successo olimpico, Benvenuti passa al professionismo. E da lì in poi la sua carriera sarà un crescendo epico. Vince il titolo mondiale dei pesi superwelter nel 1965, dopo una serie di vittorie convincenti. Ma è nel 1967 che entra nel pantheon della boxe: a New York, nel mitico Madison Square Garden, sconfigge Emile Griffith, conquistando il titolo mondiale dei pesi medi.
È il primo italiano a detenere due titoli mondiali in due categorie di peso diverse, e l’unico a farlo con riconoscimento unanime.
Il match contro Griffith viene nominato Fight of the Year. È la prima di tre sfide leggendarie con l’americano, un antagonista degno del suo talento, che contribuirà a definire l’identità sportiva di entrambi. Il loro rispetto reciproco fu tale che, fuori dal ring, divennero amici fraterni.
Nel 1969, un’altra impresa: l’undicesima ripresa contro Luis Manuel Rodríguez viene celebrata come Round of the Year, e ancora una volta il nome di Benvenuti è sulla bocca del mondo. La sua boxe è estetica e ferocia, strategia e istinto. Ogni incontro è un racconto, ogni gesto è misura e determinazione.
La caduta e la dignità: l’uomo oltre il campione
Come in ogni parabola classica, anche per Nino arriva il momento del declino. Gli incontri con l’argentino Carlos Monzón segnarono la fine della sua carriera agonistica. Il secondo match, in particolare, lo costrinse al ritiro, ma mai all’oblio.
Quel KO fu accolto con dignità e lucidità. “Ho dato tutto, non ho più nulla da dimostrare”, disse, dimostrando ancora una volta che la sua grandezza non stava solo nei muscoli o nei trofei, ma nella sua capacità di affrontare la vita da uomo intero. Un uomo che non si è mai piegato, che non ha mai ceduto alla retorica della sconfitta.
Testimone della memoria e voce dell’Istria
Ma ciò che ha reso Nino Benvenuti ancor più prezioso per l’Italia è stato il suo impegno civile. Negli anni ha raccontato con forza e verità la tragedia delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata. Lo ha fatto senza odio, ma con fermezza, portando alla luce una pagina dolorosa della storia italiana troppo a lungo ignorata.
È stato un ambasciatore della memoria, un esempio di come lo sport possa farsi cultura, storia, civiltà. Nelle sue conferenze, nei suoi scritti, nelle sue parole commosse quando parlava della “sua” Isola d’Istria, c’era tutta la profondità di un uomo che non ha mai dimenticato da dove veniva.
Un'eredità d’orgoglio
Nel 1992 viene inserito nella International Boxing Hall of Fame. Primo italiano a ricevere questo riconoscimento, è anche incluso nella National Italian-American Sports Hall of Fame, per i suoi successi ottenuti negli Stati Uniti. Un pugile universale, amato in patria e all’estero, capace di incarnare un modello sportivo e umano raro.
Nel 1968 era stato nominato Fighter of the Year: il migliore al mondo. Unico italiano a ottenere questo titolo. Eppure, anche in cima alla vetta, ha saputo restare uomo tra gli uomini.
Il 20 maggio 2025, Nino Benvenuti si è spento all’età di 87 anni. L’Italia ha perso un campione, ma ha guadagnato per sempre un simbolo. Nelle sue ultime parole c’era gratitudine per la vita, per i suoi cari, per il pubblico che non l’ha mai dimenticato. “Ho vissuto con intensità e senza rimpianti”, diceva spesso. E davvero, ogni suo round è stato un inno al coraggio.
Still. Ancora.
Nel vocabolario dei pugili, quella parola significa tutto. “Still champion”, dice l’annunciatore al centro del ring, e l’arena esplode. Nino Benvenuti lo è stato. Ancora e ancora. Campione sul ring e nella vita. Campione della sua terra, delle sue radici, delle sue battaglie per la verità.
Sulle vie dell’acqua, tra pietre e fiumi, la sua storia continua a scorrere. Come i grandi fiumi, come la memoria che resiste. E l’Italia non lo dimenticherà.
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