Titolo: "Viaggio tra Acque e Pietre: Storie del '900 in Friuli Venezia Giulia"
Immagina di salire su una barchetta di legno, magari un po' sgangherata, spinta dal vento leggero del mattino. Sopra questa barca non ci siamo solo noi, ma ci sono anche parole. Parole antiche, moderne, tristi e felici. Parole che raccontano le storie del '900 in Friuli-Venezia Giulia. Un secolo che ha cambiato tutto: confini, persone, città, montagne e perfino il modo in cui guardiamo l’acqua che scorre.
L’acqua è vita, ma anche memoria. In Friuli-Venezia Giulia, ogni fiume e ogni ruscello porta con sé storie che sembrano uscite da un romanzo. L'Isonzo, per esempio, ha un colore verde smeraldo così forte che sembra irreale. Eppure, ha visto cose terribili. Durante la Prima Guerra Mondiale, lungo le sue rive si sono combattute dodici battaglie. Dodici! Gli uomini si arrampicavano sulle rocce del Carso, si nascondevano tra le pietre, si lanciavano all'attacco su quelle sponde dure e scivolose. Lì, l’acqua dell’Isonzo si è mescolata col sangue, e ancora oggi sembra che ogni goccia conosca una storia di dolore.
Ma non tutto è dolore. L’acqua sa anche portare speranza. Come quella del Tagliamento, che attraversa tutto il Friuli come una spina dorsale. Le sue acque libere, non arginate, cambiano percorso ogni volta che piove forte. È un fiume libero, come lo sono stati i tanti uomini e donne che hanno cercato nel '900 una vita migliore, affrontando difficoltà, guerre e ricostruzioni. Le sue pietre bianche sembrano parlare. Se ci cammini sopra a piedi nudi, puoi sentire il calore del sole e, con un po’ di fantasia, anche le voci del passato.
Poi ci sono i paesi, quelli piccoli e silenziosi, dove il tempo sembra essersi fermato. Come Resia, dove ancora oggi si parla un dialetto tutto loro, o come i borghi della Carnia, arrampicati sulle montagne, dove le donne una volta partivano per andare a lavorare come balie o sarte in Austria. Anche queste sono storie d’acqua, perché quei viaggi cominciavano sempre costeggiando un torrente, attraversando un ponte, lasciando dietro una fontana del villaggio.
E che dire del mare? Trieste, con il suo porto che profuma di spezie e caffè, è stata una città mitica per tutto il '900. Un luogo di incontri e scontri, di scrittori e marinai, di confini e sogni. Qui l'acqua salata del mare mescola tutte le storie: quella degli sloveni che volevano essere ascoltati, degli italiani che temevano di perdere la loro identità, dei commercianti greci, ebrei, tedeschi, croati... una babele che ha lasciato segni ovunque, soprattutto nelle pietre. Quelle del Castello di Miramare, bianche e fiere, che guardano l’orizzonte senza mai stancarsi.
Le pietre, sì. Loro non si muovono, ma vedono tutto. Quelle del Carso, ad esempio, raccontano mille storie. Sono pietre dure, difficili, scavate dal vento e dalla pioggia. Il Carso è una terra di silenzi e di grotte, dove l’acqua scompare sottoterra per riapparire più in là. È una metafora perfetta per il '900 friulano: tante cose sembrano sparite, ma poi riemergono. Come la memoria delle foibe, delle deportazioni, delle famiglie divise dai nuovi confini dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Il confine è stato il vero protagonista del secolo in FVG. C’è stato un tempo in cui bastava fare qualche passo da Gorizia per ritrovarsi in un altro mondo, con un’altra lingua, un’altra moneta, un’altra vita. Ma le persone non sono fatte per i confini. Così li hanno sfidati, attraversati, ignorati. Hanno continuato a sposarsi, a commerciare, a parlare tra loro. E oggi, camminando sul ponte che unisce Gorizia a Nova Gorica, sembra incredibile che lì ci sia stato un muro.
Anche l’arte ha raccontato queste storie. Artisti, scrittori, poeti... tutti hanno usato le loro barche di parole per navigare nei ricordi. Pier Paolo Pasolini, ad esempio, ha camminato sulle spiagge di Grado e Casarsa, cercando la sua identità tra le parole friulane della madre e i suoni duri del mondo. E anche le canzoni popolari parlano del '900: di soldati che non tornano, di amori perduti, di emigrazione. Le pietre delle case, dei campanili, delle scuole costruite a fatica con mani callose, le custodiscono tutte.
E poi c’è il vino del Carso. Sì, perché anche nel vino si nascondono storie. I vitigni crescono tra le rocce, con radici forti che si aggrappano alla terra. Il Terrano, scuro e deciso, sembra portare con sé il carattere dei suoi abitanti. Bere un bicchiere in una cantina di Duino o di San Dorligo è come ascoltare un racconto sussurrato da un nonno.
Ma non è solo il passato a parlare. Anche oggi, le acque continuano a muoversi e le pietre a custodire. Il Lago di Barcis, ad esempio, con la sua calma e i suoi colori che cambiano a seconda della luce, è diventato un luogo dove si incontrano storie nuove: giovani che vengono da tutta Europa per respirare la pace, artisti che si ispirano a quel silenzio per creare.
A Udine, camminando tra le pietre delle vie acciottolate, si sente il passo delle generazioni. Ogni edificio racconta. Il Castello, alto sul colle, ha visto guerre, feste, trasformazioni. Dai tempi delle guerre mondiali fino alla rinascita degli anni '60, le sue pietre hanno imparato a conoscere la resilienza della gente friulana. Le scuole, le biblioteche, i cinema diventati sale per raccontare la storia: tutto fa parte di questa lunga narrazione.
Cividale del Friuli, invece, è una specie di scrigno. Le acque del Natisone scorrono sotto il Ponte del Diavolo, e ogni leggenda si intreccia con la Storia vera. Anche lì, nel '900, si è sofferto, si è resistito, si è vissuto. I racconti degli anziani parlano ancora di come si viveva durante le occupazioni, di come ci si aiutava con un bicchiere di vino e una parola di conforto.
E allora eccoci, di nuovo sulla barchetta. Ora ci dirigiamo verso le valli del Torre e del Natisone. Qui le pietre parlano sloveno, friulano, italiano. Qui la Storia ha provato a dividere, ma la natura ha sempre unito. I sentieri che collegano i borghi raccontano di cammini antichi, di donne che portavano i viveri nei paesi vicini, di uomini che attraversavano i monti in cerca di una nuova possibilità.
Il viaggio attraverso il '900 in Friuli-Venezia Giulia è fatto anche di ricette, di profumi, di tradizioni. Ogni festa di paese ha una sua pietra miliare, ogni piatto ha una storia. La jota, il frico, il gubana… sono tutti racconti da mangiare, nati magari da tempi duri, ma tramandati con amore.
E non possiamo dimenticare la flora, che accompagna silenziosamente tutte queste storie. Nei prati della Carnia e del Tarvisiano sbocciano genziane blu, rododendri e stelle alpine che sembrano fiori di carta colorata. Nei boschi crescono faggi e abeti rossi, silenziosi guardiani dei sentieri battuti dai pastori e dai boscaioli del secolo scorso. In primavera, il profumo del sambuco e dell’acacia riempie l’aria dei paesi collinari, mentre nelle valli si raccolgono erbe per tisane e liquori, come la ruta e l’iperico.
Tra le siepi, la rosa canina racconta di quando le nonne la usavano per fare sciroppi, mentre il tiglio era il profumo dell’infanzia nei paesi, dove gli anziani si sedevano all’ombra delle sue fronde a raccontare storie. Ogni fiore e ogni pianta è un tassello del mosaico friulano, legato alla vita quotidiana, alla medicina popolare, alla cucina e alla spiritualità.
Le cave di Aurisina meritano un capitolo tutto loro. Situate sul Carso triestino, queste cave hanno fornito per secoli la famosa “pietra di Aurisina”, un calcare compatto di colore chiaro, usato già ai tempi dei Romani per costruire templi e ville. Ma è nel '900 che le cave hanno raggiunto un ruolo fondamentale per l’economia locale e per l’identità del territorio. La pietra veniva estratta con fatica e perizia da generazioni di cavatori, che lavoravano in condizioni difficili, tra polvere, rumore e sole cocente. Questa pietra è finita in monumenti, edifici pubblici, marciapiedi e piazze non solo in Friuli-Venezia Giulia, ma in tutta Italia e nel Mondo. È una pietra che ha scolpito anche le vite delle persone: famiglie intere vivevano del lavoro nelle cave, creando una comunità forte, solidale, orgogliosa della propria fatica. Ancora oggi, la pietra di Aurisina è simbolo di bellezza, resistenza e memoria, incastonata nelle architetture del presente come una firma indelebile del passato.
Angela R.
Nessun commento:
Posta un commento