Sulle Vie dell'Acqua, tra pietre e fiumi, Storie del 900.
Capitolo: Il Terremoto del 1976 in Friuli Venezia Giulia: dolore, rinascita, memoria
La notte dell’Orcolat
Sulle Vie dell'acqua il progetto
"Sembrava che una gigantesca mano scuotesse il letto da ogni lato."
(Testimonianza di un abitante di Gemona, 6 maggio 1976)
La sera del 6 maggio 1976, alle ore 21:00, il Friuli Venezia Giulia venne sconvolto da una violenta scossa di terremoto di magnitudo 6.4 della scala Richter. L'epicentro venne individuato nei monti Musi, ma il sisma colpì un'area vastissima, estesa su circa 5.700 km², coinvolgendo 137 comuni delle province di Udine e Pordenone.
Il sisma, che durò quasi 60 secondi, fu avvertito in tutta l’Italia centro-settentrionale. Gemona del Friuli, Venzone, Osoppo, Buja, solo per citare alcuni paesi, vennero devastati. Le case si sgretolarono come castelli di sabbia, lasciando interi paesi ridotti a cumuli di macerie.
“Era come se l’Orcolat, il gigante della nostra leggenda, si fosse svegliato sotto la terra.”
(Detto popolare friulano)
Il bilancio umano fu tragico: 965 morti, migliaia di feriti, oltre 100.000 sfollati. La perdita di case, scuole, ospedali, chiese e fabbriche fu immensa: 18.000 edifici distrutti o gravemente danneggiati.
Ma il 1976 non aveva ancora chiuso i conti con il Friuli. Dopo un'estate segnata da scosse minori, il 15 settembre altre due violente scosse di magnitudo 5.9 e 6.1 colpirono nuovamente la regione, abbattendo quello che a maggio era miracolosamente rimasto in piedi. A Venzone, il Duomo di San Andrea Apostolo, già gravemente lesionato, crollò quasi interamente, lasciando solo pochi muri sghembi.
“Nel settembre ’76, non rimase più nulla di quanto avevamo salvato a maggio.”
(Parole di un tecnico del Comitato per il recupero dei Beni Culturali di Venzone)
Le prime ore: il caos e il soccorso
Nei primi momenti dopo la scossa, la popolazione reagì con straordinario coraggio. Molti salvarono i propri concittadini scavando a mani nude tra le macerie, senza attendere i soccorsi.
"Non avevamo tempo di aspettare nessuno. I nostri fratelli e sorelle erano sotto le pietre e noi scavavamo senza sosta."
(Testimonianza raccolta a Osoppo)
In quelle ore drammatiche, la comunicazione era quasi impossibile: le linee telefoniche erano interrotte. Solo grazie ai radioamatori e agli autotrasportatori che viaggiavano sulla A23 si riuscì a lanciare l’allarme.
Fu immediato l’intervento dell’esercito, della Croce Rossa, dei Vigili del Fuoco e, soprattutto, degli Alpini, che giocarono un ruolo decisivo. Le truppe alpine, ben addestrate e logisticamente pronte, furono tra i primi ad arrivare nei paesi devastati.
"Ovunque arrivassero gli Alpini, la gente piangeva di commozione."
(Giornale "Messaggero Veneto", maggio 1976)
Il Governo, poche ore dopo il sisma, nominò Giuseppe Zamberletti Commissario straordinario per l’emergenza. Zamberletti, che sarebbe poi diventato il "padre della Protezione Civile italiana", coordinò l’assistenza e la messa in sicurezza dei territori, introducendo metodi innovativi.
"Per la prima volta capimmo che il centro della risposta non poteva essere Roma, ma la gente sul posto."
(Giuseppe Zamberletti)
I centri operativi e il ruolo dei sindaci
Una delle grandi intuizioni di Zamberletti fu la creazione dei Centri Operativi Comunali (COC): organismi composti da sindaci, funzionari locali, volontari, e rappresentanti di forze dell’ordine, incaricati di gestire direttamente soccorso, assistenza, e successivamente la ricostruzione.
"Il sindaco era il comandante di ogni emergenza. Nessuno meglio di lui conosceva i bisogni della sua gente."
(Discorso di Zamberletti, Udine, 1976)
Con questa nuova modalità, il Friuli riuscì a mantenere il controllo della situazione, valorizzando la conoscenza del territorio da parte dei suoi abitanti.
Gli Alpini: angeli del fango e delle pietre
Il Corpo degli Alpini ebbe un ruolo fondamentale. Non solo nella ricerca dei superstiti, ma soprattutto nella fase successiva: lo sgombero delle macerie, l’allestimento delle tendopoli, la distribuzione dei pasti, la costruzione di rifugi temporanei.
"Gli Alpini costruivano in una notte quello che altrove avrebbe richiesto settimane."
(Testimonianza a Buja, 1976)
Furono loro a montare le cucine da campo, a garantire l’assistenza sanitaria, a riaprire le strade interrotte. Spesso, operavano in condizioni disperate, tra le macerie instabili e le repliche sismiche.
La loro presenza rassicurava: erano percepiti come una parte della comunità, figli della stessa terra di montagna, uomini abituati al sacrificio.
La rinascita: il "modello Friuli"
La fase di ricostruzione venne impostata su un principio rivoluzionario per l’Italia di allora: "Dov'era, com'era".
“Non ricostruiremo altrove. Non fuggiremo. Il nostro futuro sarà nelle nostre case, sui nostri monti.”
(Sindaco di Gemona, settembre 1976)
La Regione Friuli Venezia Giulia e i Comuni furono messi al centro del processo decisionale. Non fu Roma a decidere dove e come ricostruire: furono i friulani stessi, orgogliosi e determinati, a guidare la rinascita.
Il recupero di Venzone, in particolare, divenne un simbolo. Grazie a un paziente lavoro di anastilosi — la ricomposizione pietra su pietra — il Duomo di San Andrea Apostolo fu ricostruito fedelmente, distinguendo tra pietre originali e pietre sostitutive.
“Non ricostruiamo solo mura, ma l’anima del nostro popolo.”
(Motto del Comitato 19 marzo di Venzone)
Parallelamente si ricostruirono le fabbriche, seguendo l'imperativo "prima il lavoro, poi le case". Questa scelta permise alla popolazione di non abbandonare il territorio, garantendo la ripresa economica ancora prima di quella abitativa.
Solidarietà e memoria
Il terremoto del 1976 vide anche una straordinaria mobilitazione nazionale. Da ogni regione d’Italia arrivarono aiuti: squadre di volontari, fondi, viveri, tende.
"Il Friuli non era più solo. L’Italia tutta era Friuli."
(Editoriale de "Il Piccolo", maggio 1976)
Ma non solo. Dal dolore nacquero anche nuovi progetti di sviluppo. Tra questi, la nascita dell’Università di Udine: un sogno che, dopo il sisma, divenne realtà grazie a una storica raccolta di firme nelle tendopoli.
"La cultura sarà la nostra più alta forma di rinascita."
(Proclama per l’Università di Udine, 1977)
Conclusione: l’eredità del 1976
A quasi cinquant'anni dal sisma, il Friuli non dimentica.
Ogni 6 maggio, le campane suonano a lutto, e i friulani si raccolgono per ricordare chi non c'è più e per celebrare chi ha saputo rinascere.
Il terremoto del 1976 non fu solo distruzione: fu anche un esempio di come un popolo, unito dal dolore e dall’orgoglio, possa trasformare una tragedia in una straordinaria occasione di crescita.
"Da quel buio nacque una luce che ancora oggi illumina il Friuli."
(Testimonianza raccolta a Venzone, 2021)
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