Il Capitolo – Le dodici battaglie dell’Isonzo
Sulle rive di un fiume blu come il cielo e tra le rocce dure del Carso, si combatté una delle pagine più sanguinose della Grande Guerra. Lì, l’acqua e la pietra assistettero in silenzio al massacro di un’intera generazione.
Tra il 1915 e il 1917, l’Italia e l’Impero Austro-Ungarico si affrontarono lungo il fronte dell’Isonzo, un fiume limpido e impetuoso che scorre dalle Alpi Giulie fino all’Adriatico, attraversando gole profonde, valli strette e altopiani brulli. Il paesaggio, modellato da milioni di anni d’erosione e stratificazione, divenne improvvisamente teatro di guerra. Le dodici battaglie dell’Isonzo – dodici offensive italiane – segnarono il cuore del conflitto italo-austriaco. Il Carso, fatto di pietra dura, spaccata e spoglia, era il palcoscenico in cui la guerra moderna mostrava il suo volto più crudele.
La Prima Battaglia dell’Isonzo (23 giugno – 7 luglio 1915)
L’Italia era appena entrata in guerra. Gli alti comandi italiani si illudevano che la superiorità numerica e morale potesse piegare presto il fronte austro-ungarico. Così fu lanciata la prima offensiva tra il Monte Nero e il Carso. Le truppe italiane tentarono di sfondare le linee nemiche in direzione di Gorizia, ma si scontrarono con difese preparate e ben protette su rilievi dominanti. L’artiglieria italiana, insufficiente e mal posizionata, non riuscì ad aprire varchi. Il paesaggio divenne subito un nemico in più: le rocce del Carso esplodevano sotto le granate, le gole dell’Isonzo si riempivano di cadaveri. Fu un attacco frontale contro una montagna armata.
La Seconda Battaglia dell’Isonzo (18 luglio – 3 agosto 1915)
La seconda offensiva, appena due settimane dopo la prima, si sviluppò sugli stessi obiettivi: il Monte Sabotino, il Podgora e il San Michele. Il fiume Isonzo venne attraversato più volte sotto il fuoco nemico. Si combatteva per pochi metri, per trincee scavate tra la ghiaia e la pietra viva. Il Carso, con la sua superficie spaccata, sembrava inghiottire uomini e proiettili. Le acque dell’Isonzo, che un tempo irrigavano i campi, erano ora tinte di rosso.
La Terza Battaglia dell’Isonzo (18 ottobre – 3 novembre 1915)
Con l’arrivo dell’autunno, si tentarono nuovi assalti a est di Gorizia. Il Podgora e il Sabotino resistettero ancora. Sul Carso, si combatteva intorno al Monte San Michele e al San Martino. Le trincee italiane erano spesso scavate nella roccia viva, senza protezione. L’artiglieria nemica, appostata in alto, colpiva con precisione. Il fango, la pioggia, e l’inverno imminente complicavano tutto. Ogni giorno morivano migliaia di uomini per guadagnare pochi passi in avanti, tra pietre che diventavano tombe.
La Quarta e la Quinta Battaglia dell’Isonzo (10 novembre – 5 dicembre 1915; 9 – 17 marzo 1916)
Con l’inverno alle porte, e poi alla fine dell’inverno, il comando italiano ordinò nuove offensive per "tenere impegnato il nemico". Ma queste due battaglie furono poco più che carneficine. Il fronte restava immobile. L’unico a scorrere era l’Isonzo, il "fiume dei morti". Tra Doberdò, il Monte Sei Busi e il San Michele, la pietra si impregnava di pioggia e sangue. I villaggi del Carso venivano rasi al suolo. Nessuna conquista, solo morte.
La Sesta Battaglia dell’Isonzo (6 – 17 agosto 1916): la conquista di Gorizia
Fu solo ad agosto 1916 che l’esercito italiano ottenne una vittoria significativa: la presa di Gorizia. Con un attacco massiccio d’artiglieria e un’efficace manovra d’aggiramento, l’8 agosto caddero il Monte Sabotino e il Podgora. Il giorno dopo, le truppe italiane entrarono a Gorizia. Il successo fu amaro. Si contarono oltre 60.000 tra morti e feriti. E il fronte si era spostato solo di pochi chilometri. Il paesaggio era devastato: Gorizia, un tempo fiorente, era ora un cumulo di rovine. Le rive dell’Isonzo, disseminate di cadaveri e reticolati, erano testimoni silenziosi della carneficina.
La Settima, Ottava e Nona Battaglia (14 settembre – 4 novembre 1916): logoramento sul Carso
Tra settembre e novembre, tre offensive brevi e sanguinose tentarono di spingere oltre Gorizia, in direzione di Trieste. Il Monte San Michele, il San Marco, l’altopiano carsico: ogni altura era una roccaforte. Gli italiani avanzavano di notte, sotto la pioggia, arrampicandosi su pietre taglienti, spesso senza copertura. Non si ottennero risultati apprezzabili. I soldati cadevano tra i cespugli di sommaco rosso, tra le grotte del Carso, tra le gole dell’Isonzo. Il paesaggio assorbiva tutto: sangue, metallo, urla.
La Decima Battaglia dell’Isonzo (12 maggio – 8 giugno 1917): lo sforzo massimo
Fu la più grande offensiva mai lanciata fino a quel momento. L’obiettivo era sfondare il fronte austro-ungarico e aprire la strada verso Lubiana. Si attaccò lungo tutto il fronte: dalla Bainsizza all’Hermada, passando per il Vodice e il Monte Santo. Il Carso si incendiò. Gli italiani conquistarono alcune posizioni chiave, come il Monte Kuk. Ma la resistenza austroungarica fu feroce. Le perdite furono spaventose. Il paesaggio, tra doline e alture, era ormai ridotto a un deserto di pietra e ferro.
L’Undicesima Battaglia dell’Isonzo (18 agosto – 12 settembre 1917): la Bainsizza
L’unico vero sfondamento avvenne con l’attacco all’Altopiano della Bainsizza. Per la prima volta, il fronte si mosse in profondità: oltre 10 chilometri conquistati, compresi il Monte Santo e parte del San Gabriele. Ma mancavano le forze per proseguire. Il Monte Hermada, ultimo bastione prima della pianura, resistette. E l’opportunità sfumò. Intanto, le acque dell’Isonzo portavano a valle rottami, elmetti, corpi. Il fiume sembrava stanco.
La Dodicesima Battaglia dell’Isonzo – Caporetto (24 ottobre – 12 novembre 1917)
L’ultima battaglia non fu italiana, ma austro-tedesca. Con un attacco improvviso e travolgente, le forze nemiche sfondarono il fronte a Tolmino. Fu l’inizio della ritirata di Caporetto. Nel giro di pochi giorni, Gorizia, il Carso, tutto il fronte dell’Isonzo fu abbandonato. Milioni di soldati si ritirarono nel fango, tra le acque gelide del Tagliamento e del Piave. La guerra non era finita, ma l’Isonzo era stato perso. Sulle sue rive rimasero solo silenzio e memoria.
Epilogo: la guerra nella pietra
Oggi, il Carso è tornato al suo silenzio. L’Isonzo scorre limpido come un tempo. Ma chi cammina tra le sue gole, tra le trincee scavate nella roccia e i cippi bianchi dispersi tra i boschi, può ancora percepire la memoria di quella carneficina. Le dodici battaglie dell’Isonzo furono un martirio collettivo, consumatosi tra pietre spaccate e acque veloci. Un intero paesaggio ne porta ancora le cicatrici.
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