martedì 29 aprile 2025

Giuseppe Ungaretti il più grande poeta italiano del '900

Capitolo 4 – Giuseppe Ungaretti: La parola come mistero e rivelazione


Nel panorama poetico del Novecento italiano, Giuseppe Ungaretti occupa un posto centrale e imprescindibile. Nato ad Alessandria d’Egitto l’8 febbraio 1888 da genitori toscani, Antonio Ungaretti e Maria Lunardini, Giuseppe visse la sua infanzia in un ambiente multiculturale, tra il deserto africano e la memoria lontana della madre patria italiana. Il padre morì quando Giuseppe aveva solo due anni, lasciando la famiglia in condizioni precarie, ma la madre si adoperò con fermezza per garantirgli una buona istruzione. È proprio in Egitto che Ungaretti scopre la sua vocazione letteraria, frequentando l’École Suisse Jacot e venendo a contatto con la poesia francese contemporanea.

Nel 1912 si trasferisce a Parigi, città viva di fermenti artistici e culturali, dove studia alla Sorbona e conosce personaggi cruciali per la sua formazione, come Guillaume Apollinaire, Pablo Picasso, Giorgio de Chirico e Amedeo Modigliani. In quegli anni, Parigi rappresentava una vera e propria fucina dell’avanguardia europea, e Ungaretti assorbe stimoli fondamentali che plasmeranno il suo stile poetico. Tuttavia, la vera svolta arriva con la **Prima Guerra Mondiale**.

Nel 1915, con l’ingresso dell’Italia nel conflitto, Ungaretti si arruola volontario come soldato semplice nella fanteria. Combatte sul Carso e vive in prima persona l’orrore delle trincee. Da questa esperienza nascono i suoi primi versi maturi, raccolti ne *Il porto sepolto* (1916), opere segnate da una lirica intensa e folgorante, spoglia di ogni ornamento retorico. Qui nasce la poetica che sarà poi definita “ermetica”, anche se Ungaretti ne fu più precursore che appartenente: poesia come parola scarnificata, silenzio abitato, grido essenziale.

 Il celebre componimento “Mattina” – “M’illumino / d’immenso” – è l’esempio perfetto di questa nuova poesia: brevissima, eppure colma di senso.

Alla fine della guerra, nel 1919, pubblica *Allegria di naufragi*, poi riedita nel 1931 con il titolo *L’Allegria*, che raccoglie l’esperienza poetica nata dal fronte. La guerra ha mutato profondamente il suo linguaggio, trasformando la parola in uno strumento sacro, da usare con precisione chirurgica. La poesia diventa il luogo dove dire l’indicibile, il dolore, la morte, ma anche la speranza. «Quando trovo / in questo mio silenzio / una parola / scavata è nella mia vita / come un abisso» scrive nel “Commiato”. Le parole sono scoperte, cercate nella carne della sofferenza.

Nel 1920 sposa Jeanne Dupoix, una giovane francese, con la quale avrà due figli: Antonietto e Anna-Maria. Negli anni successivi si stabilisce in Italia, a Marino, e collabora con il Ministero degli Esteri. Il decennio degli anni Venti segna per Ungaretti anche una profonda trasformazione interiore: nel 1928 si converte al cattolicesimo, evento che influirà sulla sua poetica. 

Nel 1933 pubblica *Sentimento del tempo*, raccolta che segna un ritorno alla tradizione poetica italiana – con versi più lunghi e soluzioni formali più classiche – ma senza rinunciare al valore assoluto della parola, che resta sempre centro e nucleo della poesia.

A partire dal 1936, Ungaretti si trasferisce in Brasile, dove insegna letteratura italiana presso l’Università di San Paolo. Questi sono anni di lontananza, di nuovi lutti (muoiono il fratello Costantino e poi, nel 1939, il figlio Antonietto, a soli nove anni) e di profonda riflessione esistenziale. Il dolore diventa il tema dominante delle sue poesie, come dimostra la raccolta *Il dolore* (1947), una delle sue opere più struggenti e mature. Qui, la morte del figlio viene affrontata non solo con strazio, ma con una tenerezza e una spiritualità che trasformano la tragedia personale in esperienza umana universale: «Disperazione che incessante aumenta / la vita non mi è più, / arrestata in fondo alla gola, / che una roccia di gridi».

Rientrato in Italia nel 1942, Ungaretti ottiene la cattedra di Letteratura Italiana Contemporanea all’Università di Roma. Negli anni successivi continua a scrivere e pubblicare: *La terra promessa* (1950), *Un grido e paesaggi* (1952), *Il taccuino del vecchio* (1960), opere dove la sua poesia si fa ancora più riflessiva, a tratti crepuscolare, con uno sguardo rivolto sempre più alla memoria, al tempo, alla morte come approdo finale. E proprio nella raccolta incompiuta *La terra promessa*, ispirata al mito di Enea, l’approdo diventa simbolo di una ricerca incessante di senso, di redenzione, di pace.

Nel 1969 esce *Vita di un uomo. Tutte le poesie*, una vera e propria autobiografia in versi che raccoglie mezzo secolo di lavoro poetico. Giuseppe Ungaretti muore a Milano nella notte tra l’1 e il 2 giugno del 1970, all’età di 82 anni.
La sua eredità poetica è enorme. 

Precursore dell’ermetismo, maestro della parola scarnificata, Ungaretti ha saputo trasformare la sofferenza individuale in canto collettivo, la guerra in umanità, la morte in mistero e rivelazione.

 Il suo percorso artistico è anche una profonda ricerca spirituale, una tensione continua verso l’assoluto, che attraversa la parola per toccare l’invisibile. Come disse in una delle sue frasi più celebri: «La parola è impotente, la parola non riuscirà mai a dare il segreto che è in noi, mai. Lo avvicina»


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