Il capitolo: Igo Gruden – Il poeta del Carso, delle pietre e degli
uomini
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Tra le
fenditure calcaree del Carso, a picco sul mare che riflette le luci di Trieste,
nacque nel 1893, ad Aurisina (Nabrežina), uno dei più significativi
poeti sloveni del XX secolo: Igo Gruden. In questo borgo pietroso, dove
le cave scolpivano la montagna e il vento narrava storie antiche, si formò
l'anima poetica di un uomo che, attraverso versi limpidi e dolorosi, seppe
cantare la bellezza e la sofferenza della sua terra.
Primogenito di
dieci figli, visse la sua infanzia in un ambiente interamente sloveno, in un
periodo in cui la vitalità economica di Aurisina — legata all’estrazione della
pietra e alla nuova ferrovia Trieste-Vienna — trasformava profondamente il
territorio. Gruden, dopo il liceo tedesco a Gorizia e gli studi in legge a
Vienna, Graz e Praga, fu arruolato durante la Prima guerra mondiale e
gravemente ferito sul fronte dell’Isonzo. L’esperienza della guerra lo segnò in
modo indelebile e diventò uno dei nuclei tematici centrali della sua poesia.
La pietra, il lavoro, la dignità
Il paesaggio
del Carso e la vita dei suoi abitanti sono i protagonisti di molte liriche
giovanili. In particolare, i cavatori di Aurisina, figure archetipiche
della fatica e dell’identità, ricevettero dal poeta un omaggio sentito e
profondo.
Ai cavatori di
Aurisina
In questi
versi, Gruden non si limita a descrivere la durezza del lavoro nella pietra:
egli ne eleva il significato a simbolo di radicamento, di resistenza culturale
e di progresso umano. I cavatori sono eroi silenziosi, portatori di una forza
che è allo stesso tempo fisica, etica e spirituale. La pietra non è solo
materia, ma memoria e destino.
Il poeta tra
le guerre
Nel 1920
Gruden pubblica le raccolte Narcis e Primorske pesmi
(Poesie del Litorale), dove l’amore per il paesaggio e le genti
costiere si fonde con la sofferenza del dopoguerra. I contadini, i pescatori, i
bambini, gli anziani popolano le sue poesie, osservati con empatia e attenzione
sociale. Con l’avvento del fascismo e le politiche di snazionalizzazione,
Gruden esprime la nostalgia per una patria perduta e la solidarietà verso gli
oppressi.
Nel 1939
pubblica Dvanajsta ura (La dodicesima ora), un’opera in cui
l’inquietudine dell’imminente conflitto si fa palpabile. Il poeta si interroga
sulla responsabilità dell’individuo e sul destino dell’umanità. Le immagini si
fanno più cupe, il tono più solenne.
L’internamento e la speranza
Durante la
Seconda guerra mondiale, Gruden fu arrestato e deportato nei campi di
concentramento fascisti. Subì la detenzione anche nel famigerato campo
sull’isola di Arbe. Ma, ancora una volta, il poeta non si lasciò travolgere
dall’odio. Nel diario poetico V izgnanstvu (In esilio) esprime un
senso di umanità e solidarietà anche verso i nemici.
Cella numero
cinque
Questa pietà
laica, che si nutre di coraggio e lucidità, è forse l’aspetto più originale
della poetica di Gruden. Egli non si rifugia nell’estetismo né nella
propaganda, ma affronta il dolore con compassione e integrità morale.
Il cuore del poeta
Nel 1946,
l’anno prima della sua morte, Gruden pubblica Pesnikovo srce (Il cuore
del poeta), una raccolta che fonde l’amore, la memoria e la riflessione
esistenziale. Qui, il poeta canta con voce più intima, consapevole del proprio
tramonto ma ancora pieno di speranza.
Il cuore del
poeta
Gruden muore a
Lubiana nel 1948, ed è sepolto nel cimitero di Žale. L’anno successivo esce
postuma la raccolta per bambini Na Krasu (Sul Carso), ultimo
gesto d’amore verso la sua terra e le future generazioni.
#02 Storie Di Pietre 2021: "Ode alle Pietre e ai Pescatori"
Eredità viva:
la pietra che parla
Oggi, la
poesia di Gruden vive ancora tra le rocce e le genti del Carso. I suoi versi
dedicati ai cavatori sono stati riscoperti e celebrati in numerosi eventi
culturali. A Portopiccolo, nel Parco Sculture, scultori contemporanei
hanno inciso nella pietra parole tratte dalla poesia Ai cavatori di Aurisina.
In altre occasioni, le sue liriche sono state recitate tra le cave ancora
attive, tra le polveri bianche e l’eco del martello.
Questo
continuo dialogo tra parola, pietra e comunità è il segno che la poesia di
Gruden non è un reperto del passato, ma una voce presente, che parla di
identità, lavoro, memoria e speranza.
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