venerdì 23 maggio 2025

Igo Gruden il poeta del carso

 

Il capitolo: Igo Gruden – Il poeta del Carso, delle pietre e degli uomini



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Igo Gruden – Igo Gruden

Tra le fenditure calcaree del Carso, a picco sul mare che riflette le luci di Trieste, nacque nel 1893, ad Aurisina (Nabrežina), uno dei più significativi poeti sloveni del XX secolo: Igo Gruden. In questo borgo pietroso, dove le cave scolpivano la montagna e il vento narrava storie antiche, si formò l'anima poetica di un uomo che, attraverso versi limpidi e dolorosi, seppe cantare la bellezza e la sofferenza della sua terra.

Primogenito di dieci figli, visse la sua infanzia in un ambiente interamente sloveno, in un periodo in cui la vitalità economica di Aurisina — legata all’estrazione della pietra e alla nuova ferrovia Trieste-Vienna — trasformava profondamente il territorio. Gruden, dopo il liceo tedesco a Gorizia e gli studi in legge a Vienna, Graz e Praga, fu arruolato durante la Prima guerra mondiale e gravemente ferito sul fronte dell’Isonzo. L’esperienza della guerra lo segnò in modo indelebile e diventò uno dei nuclei tematici centrali della sua poesia.

La pietra, il lavoro, la dignità

Il paesaggio del Carso e la vita dei suoi abitanti sono i protagonisti di molte liriche giovanili. In particolare, i cavatori di Aurisina, figure archetipiche della fatica e dell’identità, ricevettero dal poeta un omaggio sentito e profondo.

Ai cavatori di Aurisina

"O cavatori di Aurisina,
in terra natia crescano salde
le radici delle vostre forze,
scavi sempre più a fondo il pensier vostro:
quando da questa terra vi leverete forti,
robusti e vigorosi,
in patria e fuori di essa –
mai servo di popoli stranieri, ma fratello
ognun di voi imprima la sua impronta
sull’ardito progresso della storia,
o cavatori di Aurisina."

In questi versi, Gruden non si limita a descrivere la durezza del lavoro nella pietra: egli ne eleva il significato a simbolo di radicamento, di resistenza culturale e di progresso umano. I cavatori sono eroi silenziosi, portatori di una forza che è allo stesso tempo fisica, etica e spirituale. La pietra non è solo materia, ma memoria e destino.

Il poeta tra le guerre

Nel 1920 Gruden pubblica le raccolte Narcis e Primorske pesmi (Poesie del Litorale), dove l’amore per il paesaggio e le genti costiere si fonde con la sofferenza del dopoguerra. I contadini, i pescatori, i bambini, gli anziani popolano le sue poesie, osservati con empatia e attenzione sociale. Con l’avvento del fascismo e le politiche di snazionalizzazione, Gruden esprime la nostalgia per una patria perduta e la solidarietà verso gli oppressi.

Nel 1939 pubblica Dvanajsta ura (La dodicesima ora), un’opera in cui l’inquietudine dell’imminente conflitto si fa palpabile. Il poeta si interroga sulla responsabilità dell’individuo e sul destino dell’umanità. Le immagini si fanno più cupe, il tono più solenne.

L’internamento e la speranza

Durante la Seconda guerra mondiale, Gruden fu arrestato e deportato nei campi di concentramento fascisti. Subì la detenzione anche nel famigerato campo sull’isola di Arbe. Ma, ancora una volta, il poeta non si lasciò travolgere dall’odio. Nel diario poetico V izgnanstvu (In esilio) esprime un senso di umanità e solidarietà anche verso i nemici.

Cella numero cinque

"Non odio più.
Solo la fame cammina sulle ossa,
e gli occhi, due gocce in cerca di luce.
Il compagno dorme.
Anche il nemico è silenzio."

Questa pietà laica, che si nutre di coraggio e lucidità, è forse l’aspetto più originale della poetica di Gruden. Egli non si rifugia nell’estetismo né nella propaganda, ma affronta il dolore con compassione e integrità morale.

Il cuore del poeta

Nel 1946, l’anno prima della sua morte, Gruden pubblica Pesnikovo srce (Il cuore del poeta), una raccolta che fonde l’amore, la memoria e la riflessione esistenziale. Qui, il poeta canta con voce più intima, consapevole del proprio tramonto ma ancora pieno di speranza.

Il cuore del poeta

"Non canta più per sé,
ma per chi non ha voce.
E se la parola è ferita,
la cicatrice è luce."

Gruden muore a Lubiana nel 1948, ed è sepolto nel cimitero di Žale. L’anno successivo esce postuma la raccolta per bambini Na Krasu (Sul Carso), ultimo gesto d’amore verso la sua terra e le future generazioni.

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Eredità viva: la pietra che parla

Oggi, la poesia di Gruden vive ancora tra le rocce e le genti del Carso. I suoi versi dedicati ai cavatori sono stati riscoperti e celebrati in numerosi eventi culturali. A Portopiccolo, nel Parco Sculture, scultori contemporanei hanno inciso nella pietra parole tratte dalla poesia Ai cavatori di Aurisina. In altre occasioni, le sue liriche sono state recitate tra le cave ancora attive, tra le polveri bianche e l’eco del martello.

Questo continuo dialogo tra parola, pietra e comunità è il segno che la poesia di Gruden non è un reperto del passato, ma una voce presente, che parla di identità, lavoro, memoria e speranza.







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