Il Capitolo: Casarsa, la sorgente friulana di Pier Paolo Pasolini
“Il Friuli non è soltanto la mia patria culturale, la mia seconda patria: è la mia vera patria.”(Pier Paolo Pasolini, “Le belle bandiere”)
I video dedicati al Progetto "Sulle Vie dell'Acqua"
Pier Paolo Pasolini nacque a Bologna il 5 marzo 1922, ma fu a Casarsa della Delizia, nel cuore rurale del Friuli Venezia Giulia, che trovò la sua patria dell’anima, la lingua madre, il terreno fertile da cui germogliò la sua sensibilità poetica, civile, linguistica. A Casarsa, piccolo centro adagiato tra le acque del fiume Tagliamento e i ciottoli del tempo, Pasolini approdò bambino con la famiglia, seguendo la madre, Susanna Colussi, figura centrale e ispiratrice della sua vita e della sua poesia.
Quel legame tra uomo e luogo, che nel Novecento italiano si è fatto spesso dialettico, doloroso, Pasolini lo visse in forma simbiotica e viscerale. Casarsa fu per lui al tempo stesso rifugio e frontiera, laboratorio linguistico, comunità da interpretare e poi abbandonare, e infine — da lontano — da idealizzare. “Paese di temporali e di primule”, lo chiamerà nei suoi versi giovanili, con la malinconia di chi sa che la bellezza è tanto più vera quanto più è perduta.
Le origini e la lingua dell’infanzia
Figlio di un ufficiale romagnolo e di una maestra friulana, Pasolini incarnava nella sua stessa biografia la complessità dell’identità italiana postunitaria. Ma fu il ramo materno, quello friulano, a influenzare profondamente il suo universo poetico. La nonna contadina, le storie domestiche, il silenzio degli orti, l’odore della terra dopo la pioggia — tutto ciò confluì in una concezione della lingua come memoria, come resistenza.
Nel 1942, ventenne, pubblica “Poesie a Casarsa”, la sua prima raccolta, scritta in friulano, in una variante personale della parlata casarsese. La scelta del dialetto non fu né folcloristica né nostalgica. Fu un atto politico e culturale, una forma di opposizione all’italiano ufficiale e borghese, e alla sua retorica. In quel dialetto che “non si può gridare, ma solo mormorare”, Pasolini cercava un’origine, una sacralità perduta. Quel primo libro, stampato a Bologna durante la guerra, in pochissime copie, rappresenta la nascita di una poetica che poi si espanderà nei romanzi romani e nei film della maturità, ma che sempre conserverà l’impronta friulana.
L'Accademiuta di lenga furlana e l'impegno locale
Negli anni Quaranta, Casarsa fu per Pasolini anche un laboratorio culturale militante. Nel 1945 fonda l’Accademiuta di lenga furlana, un cenacolo di giovani poeti e studiosi che si poneva l’ambizione di rinnovare e nobilitare la lingua friulana, rendendola degna di poesia e pensiero contemporanei. Era un progetto umile e grandioso al tempo stesso, in cui la lingua della madre diventava lingua della madreterra.
Nel manifesto programmatico dell’Accademiuta, Pasolini scriveva:
“Solo chi ama profondamente la propria terra può darle una lingua.”
L’Accademiuta, pur rimanendo un’esperienza di nicchia, lasciò una traccia profonda nella storia della letteratura friulana, e ancora oggi è considerata una delle più alte espressioni di intellettualismo locale del dopoguerra.
Tra pietre e fiumi: Versuta, il Tagliamento e la guerra
Durante la Seconda guerra mondiale, Pasolini, per sfuggire ai bombardamenti e al caos bellico, si rifugiò con la madre e il fratello a Versuta, frazione isolata immersa nella campagna friulana. Qui, tra il silenzio delle vigne e il rumore dell’acqua che scorre, creò una scuola privata per i ragazzi del posto, un’utopia pedagogica nella quale l’istruzione era anche un atto di amore verso il popolo.
L’acqua del Tagliamento, così prossima e costante, non è solo sfondo paesaggistico ma diventa simbolo dell’identità pasoliniana friulana: un fiume che segna, divide, custodisce. È il fiume della memoria e dell’oblio, della fuga e del ritorno.
Ma il ritorno, per Pasolini, sarà sempre parziale. Dopo il processo per corruzione di minore nel 1949, esploso nel piccolo mondo di Casarsa come una bomba, fu costretto ad abbandonare il Friuli. Cacciato dalla scuola, espulso dal PCI, ostracizzato dalla sua stessa comunità, Pasolini trovò rifugio a Roma, aprendo un nuovo capitolo della sua vita. Tuttavia, la ferita dell’esilio casarsese non si rimarginerà mai.
Il ritorno postumo: Casarsa dopo la morte di Pasolini
Quando Pasolini fu assassinato a Ostia nel 1975, Casarsa reagì con un moto collettivo di lutto e orgoglio. Come si evince dai documenti conservati presso il Centro Studi Pier Paolo Pasolini in Casa Colussi, la casa natale della madre, il Comune convocò una seduta straordinaria del Consiglio Comunale l’11 novembre 1975, per onorare la figura del “poeta concittadino tragicamente scomparso”.
Il sindaco dell’epoca, Gioacchino Francescutto, lo definì “poeta civile, regista e critico letterario di dominante vitalismo”. Parole che cercavano di contenere, se non di spiegare, l’eredità di una figura controversa e insieme profetica, che aveva saputo opporsi alla società dei consumi e difendere gli ultimi, gli esclusi, i reietti.
L’assessore Paolo Colussi propose di rilanciare l’Accademiuta di lenga furlana, per raccogliere e conservare l’opera pasoliniana in friulano, ma anche per trasmettere la dignità linguistica del casarsese. Altri consiglieri sottolinearono il suo ruolo di difensore dei poveri, degli emarginati, di chi non ha voce. Venne istituito un premio letterario nazionale in suo nome. Perché “un popolo vive finché vivono le sue tradizioni e la sua lingua”.
Il Centro Studi e la memoria viva
Oggi, Casa Colussi, nel centro di Casarsa, è sede del Centro Studi Pier Paolo Pasolini, luogo di conservazione e di diffusione dell’opera del poeta. Qui si custodiscono i Quaderni rossi, i Manifesti politici, e la fitta corrispondenza del periodo friulano. Le stanze raccontano — con foto di famiglia, manoscritti, dipinti — la storia di un ragazzo inquieto che amava il proprio paese con la furia e la tenerezza di chi sa che dovrà lasciarlo.
Le mostre temporanee, le iniziative editoriali, i convegni, fanno sì che la presenza di Pasolini non sia una reliquia, ma una coscienza attiva. Casarsa, oggi, lo ha finalmente riaccolto, lo ha perdonato, forse. Ma più che altro, ha imparato a comprenderne la grandezza e la fragilità, a leggerlo come specchio di sé stessa.
Pasolini, figlio del Friuli e dell’Italia inquieta
Pasolini è stato un figlio complesso del Friuli Venezia Giulia, e proprio per questo autentico. La sua eredità culturale, intellettuale, morale, si intreccia con quella della sua terra d’origine: aspra, umile, intensa. Come le acque che scorrono tra le pietre delle rogge, dei fiumi e dei campi friulani, la voce di Pasolini continua a risuonare, sommessa e radicale, nella lingua friulana e nel pensiero critico, nelle scuole che ancora leggono i suoi versi, nelle case in cui si conserva la memoria.
In un secolo segnato dalla dimenticanza e dalla superficialità, Pasolini resta un argine e un faro. A Casarsa, quel paese da cui partì e verso cui sempre tornò, è possibile ancora oggi toccare con mano le radici dell’anima pasoliniana, ascoltare il mormorio delle sue poesie friulane, e scorgere — tra pietre e fiumi — il profilo inquieto e luminoso di uno dei più grandi intellettuali del Novecento.
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