Il Capitolo: “Ermada, sentinella di pietra: la fortezza del Carso”
All’ombra delle pietre bianche del Carso, là dove la roccia affiora come ossa millenarie, si erge ancora oggi il Monte Ermada. Nonostante la sua modesta altezza – appena 323 metri sul livello del mare – questa altura silenziosa fu, nel cuore del Novecento, uno dei teatri più cruenti della Grande Guerra. Oggi, camminando lungo i sentieri che serpeggiano tra doline, grotte e trincee, si fatica a immaginare il fragore delle artiglierie e il lamento dei soldati, nascosti dietro un paesaggio che ha lentamente ricucito le sue ferite. Ma ogni pietra, ogni cespuglio, ogni traccia nella roccia racconta una storia: quella di un fronte immobile, di assalti respinti, di vite spezzate e di strategie scolpite nel calcare.
La scelta dell’Ermada: una posizione strategica
Dopo la Sesta Battaglia dell’Isonzo nel settembre 1916, l’esercito austro-ungarico fu costretto ad abbandonare le alture attorno a Monfalcone e a ripiegare verso il cuore del Carso triestino. Fu allora che il Monte Ermada divenne il nuovo baluardo difensivo dell’Impero. Non una scelta casuale, ma il frutto di un’attenta valutazione strategica: da qui si controllava il Vallone di Brestovizza e l’accesso verso Trieste, città simbolo e obiettivo dichiarato dell’Italia.
Il monte, o meglio il massiccio, era costituito da una serie di cime digradanti verso la Slovenia, inframmezzate da doline naturali e cavità carsiche che si prestavano perfettamente alla difesa. Gli ingegneri militari trasformarono già nel 1914 il territorio in un sistema fortificato praticamente inespugnabile: trincee, camminamenti, postazioni di mitragliatrici, gallerie artificiali e ricoveri in cemento armato si integrarono con l’ambiente naturale, sfruttando ogni anfratto per resistere all’impeto dell’esercito italiano.
Gli attacchi e la resistenza: il fronte immobile
Tra il 1916 e il 1917, Monte Ermada fu al centro delle ultime grandi offensive italiane sull’Isonzo: l’Ottava, la Nona, la Decima e infine l’Undicesima battaglia. Nonostante l’assoluta disparità numerica – gli austro-ungarici erano inferiori in uomini e risorse – nessun reparto italiano riuscì mai a raggiungere la Quota 323, la cima che dominava l’intera zona.
Il fronte divenne statico, segnato da un logoramento continuo. I combattimenti si concentrarono soprattutto sulle pendici, in settori come quello del Casello Ferroviario o del Burrone delle Caverne. Le fanterie si affrontavano corpo a corpo tra doline e pietraie, mentre le artiglierie, piazzate tra il vallone di Brestovizza e Sistiana, martellavano ogni tentativo d’avanzata.
Il tenente Fritz Weber, nelle sue Tappe della disfatta, evocava con parole dure l’ordine ricevuto di stanziarsi sulla Quota 323: “C’è solo una quota che si possa prendere in considerazione, da queste parti, una quota dal nome dolce e nello stesso tempo terrificante: l’Hermada”. Un nome che per gli uomini al fronte era sinonimo di morte, resistenza, sacrificio.
Museo all’aperto: il Carso come libro di pietra
Oggi il Monte Ermada non è più campo di battaglia, ma un museo all’aperto, un percorso storico-naturalistico che consente di rivivere la memoria della guerra tra i silenzi della natura. Due anelli escursionistici ben segnalati attraversano il monte, offrendo al visitatore la possibilità di esplorare trincee originali, grotte adibite a rifugi, casematte e osservatori.
Dal sentiero CAI n. 3, che parte tra Ceroglie e Medeazza, si raggiunge la sommità dell’Ermada. Poco prima della cima si incontrano la Grotta del Motore e la Grotta del Monte Ermada, utilizzate durante la guerra come depositi e rifugi. Dall’osservatorio naturale si apre uno straordinario panorama sul Vallone di Brestovizza, su Doberdò del Lago e sul Carso sloveno, punteggiato da piccoli paesi e boschi di roverella.
Proseguendo verso il secondo anello si toccano le Quote 289, 280 e 279, dove sono visibili i resti della seconda linea trincerata. Il sentiero CAI 3a guida l’escursionista attraverso gallerie artificiali, postazioni difensive e grotte ad uso militare come Karl e Zita, testimonianze vive della vita quotidiana dei soldati austro-ungarici.
Natura e memoria: un paesaggio che racconta
Il Carso triestino è un territorio unico: un ecosistema fragile, modellato dal tempo e dalla guerra. Le doline non sono solo cicatrici geologiche ma anche umane. Ogni cavità può raccontare storie di sopravvivenza, di pioggia battente, di fame, di attese interminabili. Nei boschi tornati fitti, tra rovi e ginestre, si nascondono ancora strutture mimetizzate che il tempo non ha cancellato.
Il massiccio dell’Ermada è oggi uno dei pochi luoghi in Europa dove si può studiare in maniera diretta la complessità delle fortificazioni della Prima Guerra Mondiale. I lavori di recupero, spesso portati avanti da piccoli gruppi di volontari, hanno permesso di riportare alla luce casematte, camminamenti, gallerie e accampamenti. In particolare il settore del Monte Cocco è oggi uno degli esempi meglio conservati: vi si trovano casematte collegate da un sistema di gallerie disostruite che, ancora oggi, si possono esplorare con attenzione.
La marcia della memoria: storia da camminare
Ogni anno, nella seconda metà di maggio, si svolge la Marcia Internazionale Enogastronomica Storica e Didattica del Monte Ermada. L’edizione 2025, prevista per domenica 18 maggio, propone quattro percorsi di partenza: Duino, Ceroglie, Medeazza e Brestovica. Il tracciato, lungo circa 10 km, è adatto a tutti e consente di scoprire il museo all’aperto passo dopo passo.
Durante il cammino, tra faggi e querce, i partecipanti possono fermarsi presso postazioni didattiche e punti di ristoro enogastronomici, dove degustare i sapori autentici del Carso: salumi, formaggi, vini corposi, miele. Un’occasione per unire storia e convivialità, cultura e natura. La marcia si conclude nel borgo di Kohišče, con un pranzo caldo servito dalle ore 12:00.
Un’eredità da custodire
L’Ermada non è solo un luogo della memoria, ma un paesaggio narrante, dove la pietra e l’acqua, il bosco e la storia si intrecciano in un racconto secolare. È un museo senza teche, un libro aperto che va letto camminando, toccando, ascoltando. È parte integrante dell’identità del Friuli Venezia Giulia e della memoria collettiva europea.
Camminare sull'Ermada significa immergersi in un tempo altro, riscoprire il significato di parole come confine, resistenza, sopravvivenza. Ma anche comprendere come, dopo la distruzione, la natura possa riprendere il suo corso, e l’uomo possa ritrovare un senso, tra pietre e silenzi, tra passato e presente.
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