mercoledì 30 aprile 2025

GIOVEDì 1 MAGGIO ALLO SPAZIO CULTURA LA SECONDA APERTURA DELLA MOSTRA

  Si svolgerà domani a partire dalle ore 16.00 la grande festa a Borgo San Mauro per la celebrazione per il primo anno di attività nello Spazio Cultura gestito e coordinato dal Gruppo Ermada Flavio Vidonis. 

La festa di domani 1 maggio dalle ore 16.00 !! 

Alle ore 16.00 inaugurazione nello Spazio Cultura della mostra diffusa sulla Regione "Sulle vie dell'acqua, tra pietre e fiumi storie del 900" con la presenza delle Guide di Estplore e i fotografi del Circolo Fotografico Obbiettivo Immagine di Gradisca. 


ore 16.30 LETTURA SCENICA “La triestinità degli anni 53/54 di Carpinteri e Faraguna” a cura degli allievi dell’università della Terza Età di Trieste, regia di Romana Olivo, nell'ambito del Progetto DuinoTrieste 1954


ore 17.15  Incontro con OdV Gruppo di Volontariato e Protezione Civile della Associazione Nazionale della Polizia di Stato Trieste e le attività di solidarietà del Lions Club Duino Aurisina.  


ore 17.45 presso l'arena eventi la presentazione del libro "I Dieci Brani Rock che Sconvolsero il Mondo" di Maurizio Lozei intervistato dal Presidente del Gruppo Culturale e Sportivo Ajser 2000 Andrea Spadaro appassionato di grande musica. 


Alle 18.30 apertura del brindisi con Cotto nel pane e a seguire Pasta Party in collaborazione con Borgomare e Ristorante San Mauro. 


Nel corso del pomeriggio, interventi da parte dei rappresentanti delle associazioni che nel corso di questo primo anno hanno svolto attività all'interno di tale struttura.









Doveva essere un luogo di ritrovo di chi ha voglia di stare assieme e creare assieme cultura e solidarietà, e così è stato - ha voluto sottolineare il Presidente del Gruppo Ermada Massimo Romita, - abbiamo voluto scommettere su tale spazio e sulla reale volontà del mondo associativo di fare rete e creare insieme una squadra per la realizzazione degli eventi. Ne è venuto fuori qualcosa di meraviglioso a cominciare dai numeri 14 mostre espositive in particolare con la Famiglia Alpina, Le VIe delle Foto e il Circolo Duinate, 32 conferenze tematiche e presentazione libri con Università Terza Età, Associazione Amici del Dialetto, Ajser 2000, Bora.La, 10 iniziative benefiche e di sensibilizzazione con il Lions Club Duino Aurisina, il Ceo, il Comitato di Borgo San Mauro, le Scuole e l'ODV Gruppo di Volontariato e Protezione Civile della Associazione Nazionale Polizia di Stato. Ma il dato fondamentale il riconoscimento da parte delle istituzioni da una parte il nostro Comune di Duino Aurisina e la Regione Autonoma Fvg che hanno sostenuto concretamente le attività, il riconoscimento economico dato dal Centro per il Libro e la Lettura del Ministero della Cultura che ha riconosciuto l'attività del Gruppo Ermada all'interno dello Spazio Cultura, premiando l'iniziativa Libri e Vini in Piazzetta inserito nel Maggio dei Libri che ha consentito al Comune di Duino Aurisina divenire Città che Legge."






martedì 29 aprile 2025

Le dodici battaglie dell'Isonzo

Il Capitolo  – Le dodici battaglie dell’Isonzo




Il progetto

Sulle rive di un fiume blu come il cielo e tra le rocce dure del Carso, si combatté una delle pagine più sanguinose della Grande Guerra. Lì, l’acqua e la pietra assistettero in silenzio al massacro di un’intera generazione.

Tra il 1915 e il 1917, l’Italia e l’Impero Austro-Ungarico si affrontarono lungo il fronte dell’Isonzo, un fiume limpido e impetuoso che scorre dalle Alpi Giulie fino all’Adriatico, attraversando gole profonde, valli strette e altopiani brulli. Il paesaggio, modellato da milioni di anni d’erosione e stratificazione, divenne improvvisamente teatro di guerra. Le dodici battaglie dell’Isonzo – dodici offensive italiane – segnarono il cuore del conflitto italo-austriaco. Il Carso, fatto di pietra dura, spaccata e spoglia, era il palcoscenico in cui la guerra moderna mostrava il suo volto più crudele.

La Prima Battaglia dell’Isonzo (23 giugno – 7 luglio 1915)

L’Italia era appena entrata in guerra. Gli alti comandi italiani si illudevano che la superiorità numerica e morale potesse piegare presto il fronte austro-ungarico. Così fu lanciata la prima offensiva tra il Monte Nero e il Carso. Le truppe italiane tentarono di sfondare le linee nemiche in direzione di Gorizia, ma si scontrarono con difese preparate e ben protette su rilievi dominanti. L’artiglieria italiana, insufficiente e mal posizionata, non riuscì ad aprire varchi. Il paesaggio divenne subito un nemico in più: le rocce del Carso esplodevano sotto le granate, le gole dell’Isonzo si riempivano di cadaveri. Fu un attacco frontale contro una montagna armata.

La Seconda Battaglia dell’Isonzo (18 luglio – 3 agosto 1915)

La seconda offensiva, appena due settimane dopo la prima, si sviluppò sugli stessi obiettivi: il Monte Sabotino, il Podgora e il San Michele. Il fiume Isonzo venne attraversato più volte sotto il fuoco nemico. Si combatteva per pochi metri, per trincee scavate tra la ghiaia e la pietra viva. Il Carso, con la sua superficie spaccata, sembrava inghiottire uomini e proiettili. Le acque dell’Isonzo, che un tempo irrigavano i campi, erano ora tinte di rosso.

La Terza Battaglia dell’Isonzo (18 ottobre – 3 novembre 1915)

Con l’arrivo dell’autunno, si tentarono nuovi assalti a est di Gorizia. Il Podgora e il Sabotino resistettero ancora. Sul Carso, si combatteva intorno al Monte San Michele e al San Martino. Le trincee italiane erano spesso scavate nella roccia viva, senza protezione. L’artiglieria nemica, appostata in alto, colpiva con precisione. Il fango, la pioggia, e l’inverno imminente complicavano tutto. Ogni giorno morivano migliaia di uomini per guadagnare pochi passi in avanti, tra pietre che diventavano tombe.

La Quarta e la Quinta Battaglia dell’Isonzo (10 novembre – 5 dicembre 1915; 9 – 17 marzo 1916)

Con l’inverno alle porte, e poi alla fine dell’inverno, il comando italiano ordinò nuove offensive per "tenere impegnato il nemico". Ma queste due battaglie furono poco più che carneficine. Il fronte restava immobile. L’unico a scorrere era l’Isonzo, il "fiume dei morti". Tra Doberdò, il Monte Sei Busi e il San Michele, la pietra si impregnava di pioggia e sangue. I villaggi del Carso venivano rasi al suolo. Nessuna conquista, solo morte.

La Sesta Battaglia dell’Isonzo (6 – 17 agosto 1916): la conquista di Gorizia

Fu solo ad agosto 1916 che l’esercito italiano ottenne una vittoria significativa: la presa di Gorizia. Con un attacco massiccio d’artiglieria e un’efficace manovra d’aggiramento, l’8 agosto caddero il Monte Sabotino e il Podgora. Il giorno dopo, le truppe italiane entrarono a Gorizia. Il successo fu amaro. Si contarono oltre 60.000 tra morti e feriti. E il fronte si era spostato solo di pochi chilometri. Il paesaggio era devastato: Gorizia, un tempo fiorente, era ora un cumulo di rovine. Le rive dell’Isonzo, disseminate di cadaveri e reticolati, erano testimoni silenziosi della carneficina.

La Settima, Ottava e Nona Battaglia (14 settembre – 4 novembre 1916): logoramento sul Carso

Tra settembre e novembre, tre offensive brevi e sanguinose tentarono di spingere oltre Gorizia, in direzione di Trieste. Il Monte San Michele, il San Marco, l’altopiano carsico: ogni altura era una roccaforte. Gli italiani avanzavano di notte, sotto la pioggia, arrampicandosi su pietre taglienti, spesso senza copertura. Non si ottennero risultati apprezzabili. I soldati cadevano tra i cespugli di sommaco rosso, tra le grotte del Carso, tra le gole dell’Isonzo. Il paesaggio assorbiva tutto: sangue, metallo, urla.

La Decima Battaglia dell’Isonzo (12 maggio – 8 giugno 1917): lo sforzo massimo

Fu la più grande offensiva mai lanciata fino a quel momento. L’obiettivo era sfondare il fronte austro-ungarico e aprire la strada verso Lubiana. Si attaccò lungo tutto il fronte: dalla Bainsizza all’Hermada, passando per il Vodice e il Monte Santo. Il Carso si incendiò. Gli italiani conquistarono alcune posizioni chiave, come il Monte Kuk. Ma la resistenza austroungarica fu feroce. Le perdite furono spaventose. Il paesaggio, tra doline e alture, era ormai ridotto a un deserto di pietra e ferro.

L’Undicesima Battaglia dell’Isonzo (18 agosto – 12 settembre 1917): la Bainsizza

L’unico vero sfondamento avvenne con l’attacco all’Altopiano della Bainsizza. Per la prima volta, il fronte si mosse in profondità: oltre 10 chilometri conquistati, compresi il Monte Santo e parte del San Gabriele. Ma mancavano le forze per proseguire. Il Monte Hermada, ultimo bastione prima della pianura, resistette. E l’opportunità sfumò. Intanto, le acque dell’Isonzo portavano a valle rottami, elmetti, corpi. Il fiume sembrava stanco.

La Dodicesima Battaglia dell’Isonzo – Caporetto (24 ottobre – 12 novembre 1917)

L’ultima battaglia non fu italiana, ma austro-tedesca. Con un attacco improvviso e travolgente, le forze nemiche sfondarono il fronte a Tolmino. Fu l’inizio della ritirata di Caporetto. Nel giro di pochi giorni, Gorizia, il Carso, tutto il fronte dell’Isonzo fu abbandonato. Milioni di soldati si ritirarono nel fango, tra le acque gelide del Tagliamento e del Piave. La guerra non era finita, ma l’Isonzo era stato perso. Sulle sue rive rimasero solo silenzio e memoria.

Epilogo: la guerra nella pietra

Oggi, il Carso è tornato al suo silenzio. L’Isonzo scorre limpido come un tempo. Ma chi cammina tra le sue gole, tra le trincee scavate nella roccia e i cippi bianchi dispersi tra i boschi, può ancora percepire la memoria di quella carneficina. Le dodici battaglie dell’Isonzo furono un martirio collettivo, consumatosi tra pietre spaccate e acque veloci. Un intero paesaggio ne porta ancora le cicatrici.
























Giuseppe Ungaretti il più grande poeta italiano del '900

Capitolo 4 – Giuseppe Ungaretti: La parola come mistero e rivelazione


Nel panorama poetico del Novecento italiano, Giuseppe Ungaretti occupa un posto centrale e imprescindibile. Nato ad Alessandria d’Egitto l’8 febbraio 1888 da genitori toscani, Antonio Ungaretti e Maria Lunardini, Giuseppe visse la sua infanzia in un ambiente multiculturale, tra il deserto africano e la memoria lontana della madre patria italiana. Il padre morì quando Giuseppe aveva solo due anni, lasciando la famiglia in condizioni precarie, ma la madre si adoperò con fermezza per garantirgli una buona istruzione. È proprio in Egitto che Ungaretti scopre la sua vocazione letteraria, frequentando l’École Suisse Jacot e venendo a contatto con la poesia francese contemporanea.

Nel 1912 si trasferisce a Parigi, città viva di fermenti artistici e culturali, dove studia alla Sorbona e conosce personaggi cruciali per la sua formazione, come Guillaume Apollinaire, Pablo Picasso, Giorgio de Chirico e Amedeo Modigliani. In quegli anni, Parigi rappresentava una vera e propria fucina dell’avanguardia europea, e Ungaretti assorbe stimoli fondamentali che plasmeranno il suo stile poetico. Tuttavia, la vera svolta arriva con la **Prima Guerra Mondiale**.

Nel 1915, con l’ingresso dell’Italia nel conflitto, Ungaretti si arruola volontario come soldato semplice nella fanteria. Combatte sul Carso e vive in prima persona l’orrore delle trincee. Da questa esperienza nascono i suoi primi versi maturi, raccolti ne *Il porto sepolto* (1916), opere segnate da una lirica intensa e folgorante, spoglia di ogni ornamento retorico. Qui nasce la poetica che sarà poi definita “ermetica”, anche se Ungaretti ne fu più precursore che appartenente: poesia come parola scarnificata, silenzio abitato, grido essenziale.

 Il celebre componimento “Mattina” – “M’illumino / d’immenso” – è l’esempio perfetto di questa nuova poesia: brevissima, eppure colma di senso.

Alla fine della guerra, nel 1919, pubblica *Allegria di naufragi*, poi riedita nel 1931 con il titolo *L’Allegria*, che raccoglie l’esperienza poetica nata dal fronte. La guerra ha mutato profondamente il suo linguaggio, trasformando la parola in uno strumento sacro, da usare con precisione chirurgica. La poesia diventa il luogo dove dire l’indicibile, il dolore, la morte, ma anche la speranza. «Quando trovo / in questo mio silenzio / una parola / scavata è nella mia vita / come un abisso» scrive nel “Commiato”. Le parole sono scoperte, cercate nella carne della sofferenza.

Nel 1920 sposa Jeanne Dupoix, una giovane francese, con la quale avrà due figli: Antonietto e Anna-Maria. Negli anni successivi si stabilisce in Italia, a Marino, e collabora con il Ministero degli Esteri. Il decennio degli anni Venti segna per Ungaretti anche una profonda trasformazione interiore: nel 1928 si converte al cattolicesimo, evento che influirà sulla sua poetica. 

Nel 1933 pubblica *Sentimento del tempo*, raccolta che segna un ritorno alla tradizione poetica italiana – con versi più lunghi e soluzioni formali più classiche – ma senza rinunciare al valore assoluto della parola, che resta sempre centro e nucleo della poesia.

A partire dal 1936, Ungaretti si trasferisce in Brasile, dove insegna letteratura italiana presso l’Università di San Paolo. Questi sono anni di lontananza, di nuovi lutti (muoiono il fratello Costantino e poi, nel 1939, il figlio Antonietto, a soli nove anni) e di profonda riflessione esistenziale. Il dolore diventa il tema dominante delle sue poesie, come dimostra la raccolta *Il dolore* (1947), una delle sue opere più struggenti e mature. Qui, la morte del figlio viene affrontata non solo con strazio, ma con una tenerezza e una spiritualità che trasformano la tragedia personale in esperienza umana universale: «Disperazione che incessante aumenta / la vita non mi è più, / arrestata in fondo alla gola, / che una roccia di gridi».

Rientrato in Italia nel 1942, Ungaretti ottiene la cattedra di Letteratura Italiana Contemporanea all’Università di Roma. Negli anni successivi continua a scrivere e pubblicare: *La terra promessa* (1950), *Un grido e paesaggi* (1952), *Il taccuino del vecchio* (1960), opere dove la sua poesia si fa ancora più riflessiva, a tratti crepuscolare, con uno sguardo rivolto sempre più alla memoria, al tempo, alla morte come approdo finale. E proprio nella raccolta incompiuta *La terra promessa*, ispirata al mito di Enea, l’approdo diventa simbolo di una ricerca incessante di senso, di redenzione, di pace.

Nel 1969 esce *Vita di un uomo. Tutte le poesie*, una vera e propria autobiografia in versi che raccoglie mezzo secolo di lavoro poetico. Giuseppe Ungaretti muore a Milano nella notte tra l’1 e il 2 giugno del 1970, all’età di 82 anni.
La sua eredità poetica è enorme. 

Precursore dell’ermetismo, maestro della parola scarnificata, Ungaretti ha saputo trasformare la sofferenza individuale in canto collettivo, la guerra in umanità, la morte in mistero e rivelazione.

 Il suo percorso artistico è anche una profonda ricerca spirituale, una tensione continua verso l’assoluto, che attraversa la parola per toccare l’invisibile. Come disse in una delle sue frasi più celebri: «La parola è impotente, la parola non riuscirà mai a dare il segreto che è in noi, mai. Lo avvicina»


La presentazione del Volume e la conclusione del Progetto S

  La SV è invitata alla presentazione del volume fotografico Viaggio Fotografico  Sulle Vie dell’Acqua tra pietre e fiumi, storie del ‘900” ...