Capitolo: Il Silenzio della Pietra – La Foiba di Basovizza e le Ferite del Confine Orientale
Tra le pieghe della roccia carsica, là dove l’acqua ha scolpito nel tempo profonde voragini e fiumi sotterranei, si cela una storia che ancora oggi ci costringe a fermarci, ascoltare e ricordare. Il progetto Sulle Vie dell’Acqua approda qui, sull’altopiano del Carso triestino, per raccontare non solo una geografia, ma una ferita profonda del Novecento italiano: le foibe, in particolare la Foiba di Basovizza, simbolo delle tragedie che seguirono la Seconda Guerra Mondiale.
Un paesaggio di pietra e silenzio
Il Carso è una terra fatta di vento e pietra, scolpita da millenni di erosione idrica. Le sue cavità naturali, note come foibe, erano fino alla prima metà del Novecento parte integrante del paesaggio, note ai geologi e agli speleologi, ma poco conosciute al grande pubblico. Si trattava di abissi naturali, spesso profondi decine o centinaia di metri, creati dall’azione incessante dell’acqua sul calcare. In passato venivano utilizzate dagli abitanti come discariche o per lo smaltimento delle carcasse animali. Nessuno poteva immaginare che quelle fenditure del suolo sarebbero diventate, nel tempo, tombe collettive.
Foibe: dalla geologia alla tragedia
Nel corso del Novecento, e in particolare durante e subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, le foibe divennero teatro di una delle pagine più oscure della storia italiana. Alla fine del conflitto, tra il 1943 e il 1947, nel contesto drammatico della dissoluzione dell’Impero fascista, dell’occupazione tedesca e dell’avanzata partigiana jugoslava, migliaia di italiani – civili e militari, funzionari pubblici, poliziotti, membri della borghesia e semplici cittadini – furono vittime di una violenta epurazione etnica e politica condotta dalle forze di Tito. Molti vennero arrestati, torturati e infine gettati vivi o già morti nelle profondità delle foibe.
La Foiba di Basovizza
Tra tutte, la Foiba di Basovizza è diventata il simbolo per eccellenza di questo orrore. Si trattava in origine di un pozzo minerario artificiale, scavato per l’estrazione del carbone e ormai in disuso al termine della guerra. Nel maggio del 1945, durante i quaranta giorni di occupazione jugoslava di Trieste, il sito fu trasformato in luogo di esecuzione. Le truppe di Tito arrestarono centinaia di persone: non solo militari del disciolto esercito italiano, ma anche poliziotti, funzionari pubblici e semplici civili. Molti di loro non fecero mai ritorno: furono caricati su camion, portati fino al bordo dell’abisso e spinti giù, spesso dopo essere stati seviziati, legati con filo di ferro e costretti in catene umane. Bastava una raffica di mitra per farli precipitare insieme nel vuoto.
I numeri dell’orrore
Ancora oggi è difficile stabilire con esattezza il numero delle vittime. I calcoli più attendibili si basano sulla differenza di profondità del pozzo prima e dopo le esecuzioni. Si stima che nella sola Foiba di Basovizza possano trovarsi i resti di oltre duemila persone. Anche ammettendo un margine di errore, la cifra rimane agghiacciante. A rendere il tutto ancora più inquietante è il fatto che molte delle persone gettate nella foiba erano ancora vive: le loro urla riecheggiavano tra le pareti di roccia, trafiggendole come un’eco di dolore destinata a durare nel tempo.
Un luogo della memoria
Per anni, la vicenda delle foibe è rimasta ai margini della narrazione pubblica italiana. Il silenzio avvolse Basovizza, così come tante altre cavità carsiche, fino a quando la pressione dell’opinione pubblica – e delle famiglie delle vittime – spinse alla riscoperta e alla tutela del sito. Nel 1959 fu chiusa l’imboccatura del pozzo, ma solo nel 1992 la Foiba di Basovizza venne ufficialmente dichiarata Monumento Nazionale. Un gesto tardivo, ma fondamentale per restituire dignità storica e memoria alle vittime.
Il Sacrario e il Centro di Documentazione
Nel 2007 è stato completato il nuovo assetto del Sacrario di Basovizza, un complesso semplice ma solenne, in cui la pietra carsica e il metallo si fondono in uno spazio di raccoglimento e riflessione. Accanto al monumento sorge oggi il Centro di Documentazione, realizzato in collaborazione con la Lega Nazionale e il Comune di Trieste, dove è possibile conoscere nel dettaglio le vicende storiche, le testimonianze dei sopravvissuti, i documenti raccolti negli anni.
Lì, le voci soffocate ritrovano parola. I nomi senza tomba trovano almeno una storia da raccontare.
Un dolore condiviso, una memoria comune
La Foiba di Basovizza è oggi meta di pellegrinaggi civili e religiosi, momento di incontro per le comunità degli esuli italiani dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia, che qui ricordano non solo i morti, ma anche l’abbandono delle terre natie, la perdita della casa, l’esilio. È un luogo che unisce dolore privato e riflessione pubblica, un simbolo di quella frontiera orientale italiana che ha conosciuto guerre, occupazioni, migrazioni forzate e conflitti identitari. Un luogo dove la pietra non è più solo natura, ma memoria.
Tra pietre e fiumi: il nostro cammino nella storia
Il nostro viaggio “Sulle Vie dell’Acqua” tocca qui il suo momento più drammatico. Non ci sono fiumi visibili a Basovizza, ma nel cuore del Carso scorrono acque invisibili che modellano il paesaggio da millenni, come la storia ha modellato le vite di chi lo ha abitato. E come quelle acque, la memoria continua a scorrere, nascosta e potente. La Foiba di Basovizza ci ricorda che la geografia non è mai neutra: ogni pietra, ogni anfratto, può diventare teatro della storia.
Ricordare significa restituire volto e voce a chi è stato ridotto al silenzio. Significa camminare tra le pietre, ascoltare il racconto dei fiumi sotterranei e lasciarsi attraversare dalla consapevolezza che la pace è fragile e la memoria, se condivisa, è l’unica vera forma di giustizia.
La Foiba di Basovizza - LEGA NAZIONALE
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